Seconda lettera a Timoteo 1:1-18
Note in calce
Approfondimenti
Seconda lettera a Timoteo A quanto pare intestazioni come questa non facevano parte del testo originale. Antichi manoscritti dimostrano che furono introdotte successivamente, senza dubbio per identificare con più facilità i vari libri. Ad esempio, il codice Sinaitico, famoso manoscritto del IV secolo, al termine della lettera contiene la dicitura “A Timoteo”. In altri antichi manoscritti compare la dicitura “Seconda a Timoteo”.
apostolo Vedi approfondimento a Ro 1:1.
amato figlio Tra Paolo e Timoteo si era creato un legame particolarmente affettuoso e stretto. Paolo infatti era diventato un padre spirituale per Timoteo (1Co 4:17; Flp 2:22). Nella prima lettera che gli scrisse, lo chiamò “genuino figlio” e “figlio mio” (1Tm 1:2, 18). All’epoca di questa seconda lettera, i due erano stati compagni d’opera per almeno 14 anni. Dal momento che percepiva che la sua morte era imminente, forse Paolo considerava questa lettera il suo ultimo messaggio scritto a Timoteo (2Tm 4:6-8). Per rassicurarlo in merito al proprio affetto, lo chiama “amato figlio”. (Vedi approfondimenti a 1Tm 1:2, 18.)
Che tu possa avere immeritata bontà, misericordia e pace Vedi approfondimento a Ro 1:7.
immeritata bontà Vedi Glossario.
Sono grato a Dio Paolo include espressioni di gratitudine, o ringraziamenti, nelle parole iniziali di tante delle sue lettere (Ro 1:8; 1Co 1:4; Ef 1:15, 16; Flp 1:3-5; Col 1:3, 4; 1Ts 1:2, 3; 2Ts 1:3; Flm 4). Mentre scrive questa lettera, in prigione a Roma, si rende conto che la sua morte è imminente (2Tm 4:6-8). Ha affrontato una dura opposizione ed è stato abbandonato da alcuni dei suoi amici (2Tm 4:10-12, 14-17). Nonostante ciò inizia la lettera esprimendo non dolore ma gratitudine. In questo stesso versetto menziona una delle cose per cui è riconoscente: Timoteo, per il quale prega “giorno e notte”. È grato soprattutto per la straordinaria fede del suo giovane amico, che definisce “sincera” (2Tm 1:5).
Dio, al quale rendo sacro servizio O “Dio, che io servo (adoro)”. Qui Paolo esprime gratitudine per il privilegio che ha di adorare Dio come fecero i suoi fedeli antenati ebrei, uomini che ebbero un ruolo di rilievo nelle Scritture Ebraiche. L’espressione “rendo sacro servizio” può riferirsi all’adorazione di Dio nell’ambito sia del sistema di cose giudaico sia della congregazione cristiana. Ad esempio, lo stesso verbo greco usato qui da Paolo compare in De 6:13 nella Settanta per tradurre il comando di servire Geova che Mosè diede al popolo. E in Mt 4:10, Gesù citò questo passo di Deuteronomio quando rispose al Diavolo: “A [Geova] solo devi rendere sacro servizio”. (Vedi approfondimento a Mt 4:10; vedi anche Eso 3:12; De 10:12, 20; Gsè 22:5; LXX.) Nella lettera ai Romani, Paolo spiegò che un aspetto importante del sacro servizio è la predicazione della buona notizia riguardo al Figlio di Dio. (Vedi approfondimento a Ro 1:9.)
con una coscienza pura Paolo si trova in prigione, incatenato come un criminale (v. 16), eppure dalle sue parole traspare la sicurezza di aver servito Geova Dio fedelmente e con motivi puri e disinteressati. (Vedi approfondimento a 2Tm 1:12.) Ai compagni di fede di Corinto aveva precedentemente scritto: “Non abbiamo fatto torto a nessuno, non abbiamo corrotto nessuno, non abbiamo approfittato di nessuno” (2Co 7:2; vedi approfondimenti a Ro 2:15; 1Tm 1:5).
Mentre ripenso alle tue lacrime Paolo fa riferimento alle lacrime di Timoteo, come pure alle proprie, senza alcun imbarazzo (2Co 2:4; Flp 3:18). Forse aveva visto Timoteo piangere quando avevano collaborato per aiutare compagni di fede oppressi da problemi o colpiti da una tragedia. Oppure, forse Timoteo aveva pianto a motivo delle sofferenze patite da Paolo (Ro 12:15; 2Tm 3:10, 11). O ancora, Paolo potrebbe averlo visto piangere quando si erano salutati per l’ultima volta. (Confronta At 20:37, 38.) Quelle lacrime dimostravano che Timoteo era un uomo sensibile, affettuoso ed empatico.
fede sincera Vedi approfondimento a 1Tm 1:5.
tua nonna Loide Loide era molto probabilmente la nonna materna di Timoteo; a quanto pare la famiglia viveva a Listra (At 16:1-3). Il termine greco per “nonna” usato qui non è tèthe, più formale, ma màmme, forma più affettuosa utilizzata dai bambini. Il fatto che Paolo abbia scelto questo termine potrebbe indicare che Timoteo e la nonna avevano un legame molto stretto e tenero. È possibile che Loide abbia aiutato Eunice a insegnare a Timoteo le verità delle Scritture Ebraiche. (Vedi approfondimento a 2Tm 3:15.)
tua madre Eunice È probabile che Loide ed Eunice si fossero convertite al cristianesimo la prima volta che Paolo era stato a Listra, intorno al 47-48 (At 14:6). In questo versetto Paolo attribuisce a entrambe una “fede sincera”. Senza dubbio Eunice dovette fare appello a quella fede quando Timoteo se ne andò di casa per seguire Paolo nei suoi viaggi missionari, visto che lei sapeva cosa era successo a Paolo la prima volta che era stato a Listra, quando lo avevano lapidato lasciandolo mezzo morto (At 14:19). Con l’esempio che gli diedero e gli insegnamenti accurati che gli trasmisero, Loide ed Eunice senz’altro contribuirono alla “fede sincera” di Timoteo stesso e ai suoi notevoli progressi spirituali (At 16:2; Flp 2:19-22; 1Tm 4:14). Il loro esempio fu particolarmente degno di nota se si pensa che il padre di Timoteo, che era greco, a quanto pare non condivideva la loro stessa fede. (Vedi approfondimenti ad At 16:1, 3.)
ravvivare come un fuoco Con questa metafora Paolo esorta Timoteo a continuare a usare il suo dono con entusiasmo. In greco, il tempo del verbo che traduce l’intera espressione indica un’azione continua; secondo uno studioso l’idea è quella di “tenere viva la fiamma di un fuoco”. L’immagine si rifà all’usanza dei tempi antichi di tenere sempre a portata di mano un po’ di brace così da poter accendere un fuoco all’occorrenza. Paolo non intende dire che il “dono di Dio” posseduto da Timoteo fosse come un fuoco che si era spento e che aveva bisogno di essere riacceso. Era piuttosto come un fuoco alimentato da braci accese che avevano solo bisogno di essere smosse perché la fiamma si ravvivasse.
il dono di Dio Come nella lettera precedente, Paolo parla nuovamente di un dono che Timoteo aveva ricevuto in passato. (Vedi approfondimento a 1Tm 4:14.) Alcuni dettagli, però, sono differenti. Qui Paolo dice che fu lui a imporre le mani su Timoteo, non il corpo degli anziani, come dice nella prima lettera; lì inoltre si fa riferimento a una profezia. Pertanto non è dato sapere se si sta riferendo sempre allo stesso episodio o a un altro. In ogni caso, il dono di cui parla Paolo sembra riguardare un dono dello spirito santo: a Timoteo era stata impartita una qualche speciale capacità che gli permise di portare avanti il suo incarico.
l’imposizione delle mie mani Vedi approfondimento ad At 6:6.
Dio [...] non ci ha dato uno spirito In questo contesto il termine greco per “spirito” (pnèuma) può riferirsi allo spirito santo di Dio oppure alla disposizione mentale, o modo di pensare, di qualcuno. (Vedi Glossario, “spirito”.) Qui Paolo potrebbe averlo usato con entrambi i significati. L’idea generale espressa dal versetto potrebbe essere resa come segue: “Lo spirito santo che Dio ci dà produce in noi uno spirito non di codardia, ma di potenza, di amore, di assennatezza”.
di codardia Il termine originale denota un timore malsano, una debolezza morale. Questo genere di timore potrebbe privare il cristiano di tutto il suo coraggio e portarlo ad abbandonare la pura adorazione.
di potenza Con questa espressione Paolo assicura a Timoteo che i cristiani non hanno bisogno di fare affidamento sul proprio coraggio per vincere la paura. Sarà piuttosto Dio a infondere in loro la potenza necessaria per svolgere il ministero e superare qualunque problema o ostacolo possa spaventarli (2Co 4:7-10; 12:9, 10; Flp 4:13).
di amore L’antidoto al timore è avere un grande amore per Geova (1Gv 4:18). L’amore spinge i discepoli di Cristo ad anteporre i bisogni altrui ai propri. Li spinge addirittura a mettere a repentaglio la propria vita per salvare quella degli altri. (Vedi approfondimenti a Gv 13:34; Ro 16:4.)
di assennatezza Più volte Paolo menziona l’assennatezza, o buon senso (Ro 12:3; 1Tm 2:9, 15; 3:2 e approfondimento). L’uso che ne fa qui trasmette l’idea che questa qualità aiuta i cristiani a non perdere l’equilibrio nemmeno di fronte a pericoli che normalmente potrebbero gettarli nel panico. L’assennatezza li aiuta inoltre a ricordare che non c’è nulla di più importante dell’amicizia che li lega a Geova. Tutt’e tre queste caratteristiche (potenza, amore, assennatezza) provengono da Dio, non dalla propria forza interiore. Paolo perciò assicura a Timoteo che è ben equipaggiato per mettere a frutto il suo dono e per ‘accettare la sua parte di sofferenze’ (2Tm 1:6, 8).
non vergognarti Il verbo originale sembra suggerire l’idea che per timore dell’umiliazione qualcuno poteva non avere il coraggio di prendere posizione. Nella cultura sia greca che romana vergogna, onore e opinione altrui condizionavano pesantemente la società. Paolo non aveva permesso che questi valori mondani lo influenzassero indebitamente, e rifiutò categoricamente di provare vergogna per il fatto che adorava Geova. (Vedi 2Tm 1:12 e approfondimento.) Con questa esortazione Paolo non sta dicendo che Timoteo in quel momento si vergognasse; vuole piuttosto incoraggiare il suo giovane amico a non provare mai quel sentimento. (Confronta Mr 8:38.)
della testimonianza riguardo al nostro Signore Questa espressione includeva il parlare ad altri della morte subita da Gesù sul palo di tortura, esecuzione che mirava a mortificare e umiliare il condannato. (Vedi approfondimento a 1Co 1:23.) Eppure, parlando della buona notizia riguardo al Cristo, la quale includeva la sua morte umiliante, Paolo poté dire: “Non mi vergogno” (Ro 1:16).
di me, che sono prigioniero a motivo suo A quanto pare alcuni si vergognavano del fatto che Paolo si trovasse in prigione. Che un uomo fosse legato, punito o imprigionato dalle autorità era considerata una vergogna. Paolo però, sapendo che anche Timoteo e altri cristiani sarebbero stati perseguitati (2Tm 3:12), voleva che la sua fedele perseveranza di fronte alle difficoltà fosse per loro fonte di incoraggiamento, non di vergogna (Flp 1:14).
prigioniero a motivo suo Lett. “suo prigioniero”. Paolo si considera prigioniero a motivo del Signore Gesù Cristo: si trovava in catene perché era suo discepolo e proclamava la buona notizia. Aveva usato espressioni simili anche in alcune lettere che aveva scritto durante la prima detenzione a Roma (Ef 3:1 e approfondimento; 4:1; Flm 1, 9). Questa seconda lettera a Timoteo la scrisse mentre era in prigione durante la sua ultima detenzione a Roma, probabilmente intorno al 65 (2Tm 4:6-8).
immeritata bontà Vedi Glossario.
Questa ci è stata data in Cristo Gesù Paolo menziona una particolare forma di “immeritata bontà” data, o mostrata, da Geova ad alcuni esseri umani: la santa chiamata a regnare con Cristo in cielo. A tal proposito, Geova aveva stabilito in anticipo che avrebbe adottato un gruppo di discepoli di Gesù come figli. Il sacrificio di Cristo Gesù fu il presupposto per mostrare questa immeritata bontà (Ro 8:15-17; 2Tm 2:10; vedi approfondimento a Ef 1:5).
prima di tempi molto lontani Il proposito di Geova di scegliere un gruppo di discepoli perché regnassero con suo Figlio nel Regno celeste era strettamente legato alla profezia che si trova in Gen 3:15 (Gal 3:16, 29). Geova aveva reso noto questo proposito subito dopo il peccato di Adamo, millenni prima che Paolo scrivesse a Timoteo. Ecco perché Paolo poté dire che l’immeritata bontà era stata data “prima di tempi molto lontani”. Alcune traduzioni rendono questa espressione con “dall’eternità”, trasmettendo l’idea che le cose di cui parla Paolo fossero predeterminate da sempre. Tuttavia un lessico spiega che in questo contesto l’espressione greca non si riferisce all’eternità, ma a “un periodo di tempo molto indietro nel passato”. (Confronta Ro 16:25; confronta anche approfondimento a Ro 8:28.) Dio predice molto in anticipo come si svilupperanno gli eventi e attua senza alcun dubbio tutto quello che si propone (Isa 46:10; Ef 1:4).
la manifestazione del nostro Salvatore, Cristo Gesù Paolo spiega che l’“immeritata bontà” di Dio di cui si parla nel v. 9 “[era] stata resa evidente tramite la manifestazione [di] Cristo Gesù”. La manifestazione a cui ci si riferisce qui è avvenuta quando Geova mandò suo Figlio sulla terra come essere umano. Se ne parla anche in Gv 1:14, dove è scritto: “La Parola è diventata carne e ha vissuto fra noi [uomini]”. In modo simile, anche 1Tm 3:16 (vedi approfondimento) menziona che Gesù “fu reso manifesto nella carne”. L’espressione fa riferimento alla sua vita e al suo ministero terreni, a quanto pare dal momento in cui fu battezzato nel Giordano. Durante il suo ministero Gesù insegnò chiaramente come gli esseri umani potevano essere salvati dai loro peccati e ottenere la vita eterna (Mt 1:21; Lu 2:11; 3:6).
Cristo Gesù [...] ha fatto luce sulla vita e sull’incorruzione Le Scritture Ebraiche parlano della risurrezione e della speranza di vivere per sempre (Gb 14:14, 15; Sl 37:29; Isa 26:19; Da 12:2, 13). Comunque molti dettagli di quegli scritti ispirati furono rivelati o chiariti in seguito. È interessante che Gesù venga chiamato “la vera luce che illumina” (Gv 1:9). È solo logico quindi che sia stato lui a fare luce su questa speranza. Lui stesso si definì “la vita” e promise che chiunque avesse esercitato fede nelle sue parole avrebbe avuto “vita eterna” (Gv 5:24; 6:40; 14:6). Gesù “ha fatto luce sulla vita” anche dicendo che avrebbe dato la sua propria vita come riscatto per abolire, o eliminare, la morte (Mt 20:28; Gv 3:16; 5:28, 29; 11:25, 26). Inoltre spiegò che alcuni esseri umani avrebbero vissuto in cielo e regnato con lui (Lu 12:32; Gv 14:2, 3). Quando questi ricevono la ricompensa celeste, vengono “[risuscitati] nell’incorruzione” (1Co 15:42 e approfondimento; 1Pt 1:3, 4).
sono stato costituito predicatore Vedi approfondimento a 1Tm 2:7.
apostolo Vedi approfondimento a 1Tm 2:7.
maestro Vedi approfondimento a 1Tm 2:7.
non mi vergogno Paolo riconosce che il motivo delle sofferenze che sta vivendo è da ricondurre all’incarico di predicatore, apostolo e maestro da lui svolto (2Tm 1:11). Forse l’obiettivo dei suoi persecutori era quello di fargli provare vergogna e paura al punto di metterlo a tacere. Ma proprio come Gesù, che “[aveva] sopportato il palo di tortura senza curarsi del disonore”, Paolo riteneva che non ci fosse alcun motivo di vergogna nel fatto di essere perseguitati e imprigionati perché si fa la volontà di Geova (Eb 12:2). Desiderava che Timoteo e gli altri cristiani si sentissero come lui. (Vedi approfondimento a 2Tm 1:8; vedi anche approfondimento a Mt 16:24.)
perché conosco Colui nel quale ho creduto Paolo spiega il motivo principale per cui non si vergogna: ha conosciuto Geova Dio e ha sviluppato una stretta amicizia con lui. (Vedi approfondimento a Gal 4:9.) Per Paolo era un onore svolgere qualsiasi incarico affidatogli dal suo amorevole Padre.
ciò che ho affidato a lui Lett. “il mio deposito”. Forse Paolo intende dire che ha affidato a Dio la sua vita. Anche se stava per morire, era sicuro che Geova si sarebbe ricordato della sua condotta fedele fino a quel giorno, cioè il giorno in cui lo avrebbe risuscitato (Ro 8:38, 39). La parola che compare nell’espressione originale, e che può essere resa “deposito”, è un termine legale per indicare una cosa affidata a qualcuno perché la tenga al sicuro. (Un verbo affine ricorre in At 14:23 e 20:32, dove si parla di persone ‘affidate’ a Geova Dio.) Alcune traduzioni bibliche rendono 2Tm 1:12 come se il “deposito” si riferisse a qualcosa che era Paolo a dover custodire. (Confronta 1Tm 6:20 e 2Tm 1:14, dove Paolo esorta Timoteo a custodire quello che gli era stato affidato.) Comunque il contesto indica che il “deposito” menzionato in questo versetto si riferisce a qualcosa che era Dio a custodire.
modello Il termine greco qui tradotto “modello” potrebbe anche essere reso “schema”. Poteva descrivere lo schizzo usato da un artista come bozza da seguire per realizzare l’opera finale. Il “modello delle sane parole” fornisce chiare indicazioni ai cristiani così che possano capire cosa richiede da loro Geova Dio e identificare i princìpi alla base degli insegnamenti biblici. Timoteo poteva mettere a confronto qualsiasi nuova idea con quel “modello” ed evitare in questo modo di farsi sviare da falsi maestri (Gal 1:7; 2Tm 2:16-18).
sane parole I due termini che compaiono nell’originale sono resi “sano insegnamento” in 1Tm 6:3, dove Paolo spiega che questo insegnamento “viene dal nostro Signore Gesù Cristo”. Perciò l’espressione “sane parole” fa riferimento ai veri insegnamenti cristiani. (Vedi approfondimento a 1Tm 6:3.) Tutto ciò che Gesù ha insegnato e fatto è in armonia con gli altri insegnamenti della Bibbia; ecco perché le “sane [o “benefiche”] parole” possono riferirsi per estensione a tutti gli insegnamenti biblici.
Custodisci questo eccellente tesoro Il tesoro a cui si riferisce Paolo include quello di cui parla nel versetto precedente, cioè le “sane parole”, o la verità trasmessa tramite le Scritture. Nella prima lettera che gli scrisse, Paolo esortò Timoteo con parole simili: “Custodisci quello che ti è stato affidato” (1Tm 6:20 e approfondimento). Anche altre volte lo incoraggiò a custodire questo tesoro predicando accuratamente il vero messaggio cristiano sia all’interno che all’esterno della congregazione; in questo modo Timoteo lo avrebbe protetto dalla corruzione dei falsi maestri e degli apostati (2Tm 4:2, 5). Ci sarebbe riuscito confidando nello spirito santo di Geova e nella Sua Parola (2Tm 3:14-17).
spirito santo, che dimora in noi Lo spirito santo di Dio dimorava in Paolo e Timoteo, così come in tutti gli altri cristiani unti, nel senso che agiva in loro in modo speciale (Ro 8:11; Ef 3:20). Li aiutava infatti a custodire l’“eccellente tesoro”, ovvero gli insegnamenti cristiani e il ministero affidato loro. In senso più ampio, lo spirito santo aiuta tutti i cristiani a compiere il loro ministero e a coltivare “il frutto dello spirito” (Gal 5:22, 23; At 1:8).
provincia dell’Asia Vedi Glossario, “Asia”.
Il Signore conceda misericordia Qui Paolo prega Geova perché conceda misericordia “alla casa di Onesiforo”. Arrivato a Roma, Onesiforo aveva fatto tutto il possibile per trovare Paolo, che era in prigione; in questo modo manifestò grande premura e misericordia (2Tm 1:17; vedi l’approfondimento non si è vergognato delle mie catene in questo versetto). La preghiera di Paolo, quindi, era in armonia con le parole che Gesù aveva pronunciato nel Discorso della Montagna: “Felici i misericordiosi, perché sarà loro mostrata misericordia” (Mt 5:7 e approfondimento). Sia nelle Scritture Ebraiche che nelle Scritture Greche Cristiane, Geova viene descritto come un Dio “misericordioso” e “ricco di misericordia” (Eso 34:6; Ef 2:4; confronta 2Tm 1:18).
Onesiforo Questo fedele cristiano era speciale per il modo leale e altruistico in cui aveva sostenuto Paolo. L’apostolo infatti lo loda per “tutto quello che [aveva fatto]” in precedenza per lui a Efeso (2Tm 1:18). Sembra che anche Timoteo lo conoscesse. La specifica “quando venne a Roma” lascia intendere che Onesiforo avesse viaggiato sin lì, ma il racconto non dice se lo fece appositamente per vedere Paolo oppure per un’altra ragione (2Tm 1:17). Qui Paolo chiede la benedizione di Dio sui componenti della casa di Onesiforo e successivamente, nella conclusione della lettera, manda loro i suoi saluti (2Tm 4:19).
non si è vergognato delle mie catene Onesiforo era nettamente diverso dai due uomini che Paolo ha menzionato nel versetto precedente e che, insieme ad altri nella provincia dell’Asia, lo avevano abbandonato nel momento del bisogno (2Tm 1:15, 17, 18). È possibile che andare a trovare Paolo durante la sua seconda e ultima detenzione significasse rischiare di essere imprigionati o addirittura messi a morte. In ogni caso Onesiforo non lasciò spazio alla paura né alla vergogna; anzi, spesso [confortò] Paolo, andandolo a trovare più volte e dandogli, per quanto possibile, aiuto e conforto. Il termine “catene” qui usato può riferirsi in senso lato alla prigionia, ma è probabile che Paolo fosse letteralmente in catene; in tal caso, questo avrebbe reso ancora più preziose tutte le buone azioni di Onesiforo nei suoi confronti.
mi cercò con premura Durante la seconda detenzione di Paolo a Roma, Onesiforo aveva fatto tutto il possibile per trovarlo. La città aveva all’incirca un milione di abitanti; inoltre le strade non avevano nomi e non esistevano numeri civici. Alla fine Onesiforo trovò il posto in cui Paolo era detenuto in attesa di essere processato. Di sicuro per Paolo fu di grande conforto ricevere il suo aiuto.
Il Signore gli conceda di trovare misericordia presso Geova A quanto pare, sia nel versetto 16 che in questo, “il Signore” si riferisce a Geova Dio (2Tm 1:16 e approfondimento). Qui però la richiesta è formulata in modo un po’ inusuale. Paolo infatti prega che il Signore (cioè Geova) conceda la misericordia che si trova presso lui stesso (cioè che proviene da Geova). Ripetizioni di questo tipo si possono trovare anche nelle Scritture Ebraiche, e la Settanta segue uno schema simile. Per esempio, in Gen 19:24 il testo in ebraico alla lettera legge: “Geova fece piovere zolfo e fuoco da Geova”; in pratica il senso è che Geova fece cadere zolfo e fuoco che provenivano da lui stesso. (Vedi anche Os 1:6, 7; Zac 10:12.) La ripetizione che si trova qui in 2Tm 1:18 può sottolineare che Geova permette a una persona di ricevere misericordia e che è sempre lui a elargire questa misericordia. (Per maggiori informazioni sull’uso del nome divino qui, vedi App. C3 introduzione; 2Tm 1:18.)
tu sai molto bene O forse “conosci meglio di me”. Paolo indica che tutto quello che Onesiforo aveva fatto per lui a Efeso era ben noto a Timoteo. L’espressione originale potrebbe anche indicare che Timoteo conosceva meglio di Paolo le buone azioni che Onesiforo aveva compiuto a Efeso.