Vangelo secondo Luca 1:1-80
Note in calce
Approfondimenti
Luca La forma greca del nome è Loukàs, dal latino Lucas. Luca, scrittore di questo Vangelo e degli Atti degli Apostoli, era un medico e un fedele compagno dell’apostolo Paolo (Col 4:14; vedi anche “Introduzione a Luca”). Alcuni ritengono che Luca non fosse ebreo e adducono come motivazioni il suo nome greco, il suo stile di scrittura e il fatto che in Col 4:10-14 Paolo menzioni prima i “circoncisi” e soltanto dopo Luca. Questa ipotesi comunque è in contrasto con quanto riportato in Ro 3:1, 2, dove si legge che “ai giudei furono affidate le sacre dichiarazioni di Dio”. Luca deve quindi essere stato un ebreo con un nome greco che parlava greco.
Vangelo secondo Luca Nessuno degli evangelisti si identifica come scrittore del proprio racconto, e a quanto pare le intestazioni dei Vangeli non facevano parte del testo originale. In alcuni manoscritti del Vangelo di Luca compare l’intestazione Euaggèlion katà Loukàn (“Buona notizia [o “Vangelo”] secondo Luca”), mentre in altri c’è quella più breve Katà Loukàn (“Secondo Luca”). Non si sa esattamente quando furono aggiunte o quando si iniziò a usarle. Alcuni ipotizzano nel II secolo, dato che i primi manoscritti a nostra disposizione che contengono l’intestazione lunga sono datati alla fine del II secolo o all’inizio del III. Secondo alcuni studiosi, l’incipit del libro di Marco (“Principio della buona notizia riguardo a Gesù Cristo, il Figlio di Dio”) potrebbe spiegare perché è stato adottato il termine “vangelo” (lett. “buona notizia”) per definire questi racconti. Le intestazioni contenenti il nome dello scrittore potrebbero essere state introdotte per motivi di praticità; permettevano infatti di identificare con facilità i vari libri.
di cui noi siamo pienamente convinti L’espressione greca potrebbe essere resa “nei quali noi riponiamo piena fede”. Sottolinea che i fatti erano stati analizzati con attenzione. Il testo indica che i cristiani avevano la ferma convinzione che tutte le cose che riguardavano Cristo erano davvero accadute, erano state dimostrate ed erano degne di fiducia. In alcune traduzioni l’espressione è quindi resa “che sono stati pienamente creduti tra noi”. In altri contesti, forme dello stesso verbo greco presente qui sono rese con espressioni del tipo “essere fermamente convinto” o “essere pienamente convinto” (Ro 4:21; 14:5; Col 4:12).
servitori del messaggio O “servitori della parola”. Due traduzioni in ebraico delle Scritture Greche Cristiane (definite J18, 22 nell’App. C) in questo punto riportano il Tetragramma e leggono “servitori della parola di Geova”.
avendo fatto accurate ricerche O “avendo investigato attentamente”. Luca non fu testimone oculare degli avvenimenti che mise per iscritto. Perciò, oltre a essere stato ispirato dallo spirito santo, il suo Vangelo si basa evidentemente sulle seguenti fonti: (1) documenti utili per la stesura della genealogia di Gesù (Lu 3:23-38); (2) il racconto ispirato scritto da Matteo; (3) conversazioni avute con diversi testimoni oculari (Lu 1:2), ad esempio i discepoli ancora in vita e forse Maria, la madre di Gesù. Il 60 per cento circa del contenuto di Luca non è presente negli altri Vangeli. (Vedi “Introduzione a Luca”.)
in ordine logico O “per ordine”, “in successione”. Il termine greco kathexès, reso “in ordine logico”, può riferirsi a una successione temporale, a una progressione logica o a una sequenza di argomenti, quindi non necessariamente a una narrazione scritta rigorosamente in ordine cronologico. Il fatto che Luca non seguisse sempre un ordine cronologico è evidente in Lu 3:18-21. Per stabilire la successione degli avvenimenti durante la vita e il ministero di Gesù è quindi necessario analizzare tutti e quattro i Vangeli. Evidentemente, anche se in linea di massima seguì un ordine cronologico, Luca adottò anche altri criteri per l’organizzazione dei contenuti del suo Vangelo.
illustre Il termine greco reso “illustre” (kràtistos) è usato come titolo onorifico con carattere ufficiale in riferimento ad alti funzionari (At 23:26; 24:3; 26:25). Per questo motivo alcuni studiosi ritengono che il termine potrebbe indicare che Teofilo ricopriva una carica di rilievo prima di diventare cristiano. Altri pensano che qui il termine sia stato usato semplicemente come appellativo amichevole o di cortesia oppure come attestato di grande stima. Affermano che Teofilo era evidentemente cristiano, dato che gli erano già “state insegnate a voce” informazioni riguardo a Gesù Cristo e al suo ministero (Lu 1:4); il resoconto scritto da Luca sarebbe servito a confermargli l’accuratezza di ciò che aveva precedentemente appreso per sentito dire. Comunque, ci sono altre possibilità: alcuni ritengono che Teofilo fosse un simpatizzante che solo in seguito si convertì, mentre altri pensano che il suo nome, che significa “amato da Dio” o “amico di Dio”, fosse un riferimento simbolico a ogni singolo cristiano. Quando si rivolge a Teofilo nell’incipit del libro degli Atti, Luca non usa il termine “illustre” (At 1:1).
Erode Qui in riferimento a Erode il Grande. (Vedi Glossario.)
Zaccaria Nome di origine ebraica che significa “Geova si è ricordato”.
divisione di Abia Abia era un discendente sacerdotale di Aronne. Ai giorni del re Davide, Abia era riconosciuto a capo di una delle case paterne di Israele. Davide stabilì 24 divisioni sacerdotali, ciascuna delle quali doveva prestare servizio a Gerusalemme presso il santuario per una settimana ogni sei mesi. La casa di Abia fu sorteggiata perché fosse a capo dell’ottava divisione (1Cr 24:3-10). La “divisione di Abia” non aveva a che fare necessariamente con la linea di discendenza di Zaccaria, ma con la divisione sacerdotale in cui Zaccaria era incaricato di svolgere il suo servizio. (Vedi approfondimento a Lu 1:9.)
Abia Nome di origine ebraica che significa “mio padre è Geova”.
Elisabetta Il nome greco Eleisàbet deriva dall’ebraico ʼElishèvaʽ (a volte reso Eliseba), che significa “il mio Dio è abbondanza”, “Dio di abbondanza”. Elisabetta discendeva da Aronne; quindi Giovanni aveva entrambi i genitori di discendenza sacerdotale.
Geova In questa traduzione, si tratta della prima occorrenza del nome divino nel Vangelo di Luca. Anche se qui i manoscritti in greco attualmente disponibili riportano il termine Kỳrios (“Signore”), ci sono valide ragioni per ritenere che in origine in questo versetto ci fosse il nome divino e che solo in seguito sia stato sostituito dal titolo Signore. (Vedi App. C1 e C3 introduzione; Lu 1:6.) I primi due capitoli di Luca sono ricchi di richiami più o meno espliciti a espressioni e passi delle Scritture Ebraiche che contengono il nome divino. Ad esempio, la combinazione di comandamenti e norme o termini legali simili si trova nelle Scritture Ebraiche in contesti in cui è presente il nome divino o in cui è Geova a parlare (Gen 26:2, 5; Nu 36:13; De 4:40; 27:10; Ez 36:23, 27).
il suo turno [...] per offrire l’incenso Inizialmente era il sommo sacerdote Aronne a offrire l’incenso sull’altare d’oro (Eso 30:7). Tuttavia la supervisione dell’incenso e di altri oggetti del tabernacolo fu affidata a suo figlio Eleazaro (Nu 4:16). Qui Zaccaria, che era un sottosacerdote, è ritratto nell’azione di bruciare l’incenso; sembra quindi che questo incarico non fosse esclusivamente prerogativa del sommo sacerdote, tranne che nel Giorno dell’Espiazione. Probabilmente quella di bruciare l’incenso era considerata la più prestigiosa delle funzioni che venivano officiate quotidianamente presso il tempio. Veniva svolta dopo che era stato offerto il sacrificio. Mentre l’incenso bruciava, il popolo si raccoglieva in preghiera all’esterno del santuario. Secondo la tradizione rabbinica si tirava a sorte chi dovesse svolgere questa mansione, ma un sacerdote che l’aveva svolta in precedenza non poteva partecipare a meno che tutti i presenti non l’avessero già svolta. Se le cose stavano così, un sacerdote di solito poteva avere questo onore solo una volta nella vita.
santuario In questo contesto il termine greco naòs si riferisce all’edificio centrale del tempio. Quando arrivò il suo turno di “offrire l’incenso”, Zaccaria dovette entrare nel Santo, il primo compartimento del santuario, luogo in cui si trovava l’altare dell’incenso. (Vedi approfondimenti a Mt 27:5, 51 e App. B11.)
santuario di Geova Come menzionato nell’approfondimento a Lu 1:6, i primi due capitoli di Luca sono ricchi di richiami più o meno espliciti a passi ed espressioni delle Scritture Ebraiche dove ricorre il nome divino. Ad esempio, espressioni ebraiche con combinazioni corrispondenti a “santuario [o “tempio”] di Geova” spesso contengono il Tetragramma (Nu 19:20; 2Re 18:16; 23:4; 24:13; 2Cr 26:16; 27:2; Ger 24:1; Ez 8:16; Ag 2:15). Come spiegato nell’App. C1, ci sono valide ragioni per ritenere che in origine in questo versetto ci fosse il nome divino e che solo in seguito sia stato sostituito dal titolo Signore. Per questo nel testo del versetto è stato usato il nome Geova. (Vedi App. C3 introduzione; Lu 1:9.)
angelo di Geova A partire da Gen 16:7, questa espressione, che è una combinazione del termine ebraico per “angelo” e del Tetragramma, ricorre spesso nelle Scritture Ebraiche. Nel passo di Zac 3:5, 6 presente in un frammento di un’antica copia della Settanta, il termine greco àggelos (“angelo”, “messaggero”) è seguito dal nome divino scritto in caratteri ebraici. Questo frammento, rinvenuto in una grotta nel deserto della Giudea presso Nahal Hever, in Israele, è datato tra il 50 a.E.V. e il 50 E.V. Nelle App. C1 e C3 si trovano le ragioni per cui la Traduzione del Nuovo Mondo usa l’espressione “angelo di Geova” nel testo di Lu 1:11 nonostante i manoscritti greci attualmente disponibili riportino “angelo del Signore”.
Giovanni Vedi approfondimento a Mt 3:1.
agli occhi di Geova L’espressione greca enòpion Kyrìou (lett. “al cospetto di [davanti a] Signore”) rispecchia un modo di dire ebraico e ricorre oltre 100 volte in copie disponibili della Settanta a fronte di espressioni ebraiche che nell’originale contengono il Tetragramma (Gdc 11:11; 1Sa 10:19; 2Sa 5:3; 6:5). Questo suggerirebbe che qui Kỳrios sia stato usato in luogo del nome divino. (Vedi App. C3 introduzione; Lu 1:15.)
spirito santo O “santa forza attiva”. (Vedi Glossario, “spirito”; “spirito santo”.)
Geova Il messaggio dell’angelo rivolto a Zaccaria (vv. 13-17) richiama fortemente il linguaggio usato nelle Scritture Ebraiche. Ad esempio, la combinazione di Kỳrios (“Signore”), Theòs (“Dio”) e un pronome personale, qui resa Geova loro Dio, si trova di frequente in citazioni dalle Scritture Ebraiche. (Confronta l’espressione “Geova tuo Dio” in Lu 4:8, 12; 10:27.) Nelle Scritture Ebraiche l’espressione “Geova loro Dio” ricorre oltre 30 volte, mentre l’espressione “il Signore loro Dio” non è mai presente. Inoltre l’espressione figli d’Israele rispecchia un’espressione idiomatica ebraica usata molte volte nelle Scritture Ebraiche per indicare gli israeliti, il popolo d’Israele (Gen 36:31; nt.; vedi App. C3 introduzione; Lu 1:16).
Elia Da un nome ebraico che significa “il mio Dio è Geova”.
far diventare il cuore dei padri come quello di figli O “volgere il cuore dei padri verso i figli”. Questa espressione è una citazione della profezia di Mal 4:6; non si tratta di una profezia relativa a una generica riconciliazione tra padri e figli. Il messaggio di Giovanni avrebbe piuttosto spinto i padri a pentirsi e a cambiare il loro cuore duro in un cuore umile e pronto a farsi istruire, come quello di figli ubbidienti. Alcuni sarebbero diventati figli di Dio. In modo simile Malachia aveva anche predetto che il cuore dei figli sarebbe diventato come quello dei padri, a indicare che coloro che si fossero pentiti sarebbero diventati più simili ad Abraamo, Isacco e Giacobbe, loro fedeli padri dell’antichità.
preparare per Geova un popolo ben disposto Le parole dell’angelo rivolte a Zaccaria (vv. 13-17) contengono richiami a passi come Mal 3:1; 4:5, 6 e Isa 40:3, nei quali ricorre il nome divino. (Vedi approfondimenti a Lu 1:15, 16.) Un’espressione greca simile a quella resa preparare [...] un popolo si trova nella Settanta in 2Sa 7:24, passo in cui il testo ebraico dice: “Facesti tuo il popolo d’Israele [...], o Geova”. (Vedi App. C3 introduzione; Lu 1:17.)
Gabriele Da un nome ebraico che significa “forte (robusto) uomo di Dio” (Da 8:15, 16). Oltre a Michele, Gabriele è l’unico angelo menzionato per nome nella Bibbia e l’unico angelo materializzato che rivelò il proprio nome.
annunciarti questa buona notizia Il verbo greco euaggelìzomai è affine al sostantivo euaggèlion (“buona notizia”). In questo caso l’angelo Gabriele agisce quale evangelizzatore. (Vedi approfondimenti a Mt 4:23; 24:14; 26:13.)
servizio sacro O “servizio pubblico”. Il sostantivo greco leitourgìa qui usato e i termini affini leitourgèo (“svolgere un servizio pubblico”) e leitourgòs (“servitore pubblico”, “lavoratore pubblico”) erano usati nel mondo classico in riferimento a un lavoro o servizio compiuto per lo Stato o le autorità civili e a beneficio della comunità. Ad esempio, in Ro 13:6 si legge che le autorità secolari “svolgono un servizio pubblico” (in greco è presente il plurale di leitourgòs) per Dio, nel senso che provvedono servizi utili per la comunità. Il modo in cui Luca usa qui questo termine riflette l’uso che ne viene fatto nella Settanta, dove il verbo e i relativi sostantivi si riferiscono spesso al servizio svolto dai sacerdoti e dai leviti (Eso 28:35; Nu 8:22). Il servizio presso il tempio era sia un servizio pubblico svolto per il bene del popolo sia un servizio sacro, dato che i sacerdoti levitici insegnavano la Legge di Dio e offrivano sacrifici che coprivano i peccati del popolo (2Cr 15:3; Mal 2:7).
cosa ha fatto Geova per me Le parole con cui Elisabetta esprime la sua gratitudine sembrano richiamare quelle di Gen 21:1, dove si racconta ciò che accadde a Sara; è da notare che in quel versetto compare il nome divino. Quello che Elisabetta dice su come è stata eliminata la sua ragione di vergogna (il fatto di non avere figli) fa eco alle parole di Rachele riportate in Gen 30:23. (Vedi App. C1 e C3 introduzione; Lu 1:25.)
Quando lei era al sesto mese Lett. “nel sesto mese”, in riferimento alla gravidanza di Elisabetta, come indicato dai vv. 24-25.
promessa in matrimonio Vedi approfondimento a Mt 1:18.
Maria Corrisponde al nome ebraico “Miriam”. Nelle Scritture Greche Cristiane vengono menzionate sei donne con questo nome: (1) la madre di Gesù; (2) Maria Maddalena (Mt 27:56; Lu 8:2; 24:10); (3) la madre di Giacomo e di Iose (Mt 27:56; Lu 24:10); (4) la sorella di Marta e Lazzaro (Lu 10:39; Gv 11:1); (5) la madre di Giovanni Marco (At 12:12); (6) una cristiana di Roma (Ro 16:6). Ai tempi di Gesù, Maria era uno dei nomi femminili più comuni.
Geova è con te Questa ed espressioni simili che includono il nome divino ricorrono spesso nelle Scritture Ebraiche (Ru 2:4; 2Sa 7:3; 2Cr 15:2; Ger 1:19). Il saluto che l’angelo rivolge a Maria è simile a ciò che l’angelo di Geova disse a Gedeone: “Geova è con te, potente guerriero” (Gdc 6:12). (Vedi App. C1 e C3 introduzione; Lu 1:28.)
Gesù Vedi approfondimento a Mt 1:21.
Geova Dio Come menzionato nell’approfondimento a Lu 1:6, i primi due capitoli di Luca sono ricchi di richiami più o meno espliciti a passi ed espressioni delle Scritture Ebraiche dove ricorre il nome divino. Quando menziona il trono di [...] Davide, l’angelo allude alla promessa riportata in 2Sa 7:12, 13, 16, versetti in cui Geova parla a Davide tramite il profeta Natan e nel cui immediato contesto ricorre più volte il Tetragramma (2Sa 7:4-16). Nelle Scritture Greche Cristiane l’espressione qui resa “Geova Dio” e altre combinazioni simili ricorrono principalmente in citazioni delle Scritture Ebraiche o in passi dal sapore ebraico. (Vedi approfondimento a Lu 1:16 e App. C3 introduzione; Lu 1:32.)
la tua parente Il termine greco utilizzato, syggenìs, è in una forma che compare solo qui nelle Scritture Greche Cristiane, mentre in altri versetti si trova nella forma syggenès (Lu 1:58; 21:16; At 10:24; Ro 9:3). In entrambi i casi si riferisce genericamente a un parente, a qualcuno della stessa famiglia estesa o dello stesso clan. Quindi Maria ed Elisabetta erano imparentate, ma non è specificato l’esatto rapporto di parentela. Zaccaria ed Elisabetta erano della tribù di Levi mentre Giuseppe e Maria erano della tribù di Giuda, quindi la loro parentela non doveva essere stretta.
niente di ciò che [...] dice O “nessuna parola”. O forse “nessuna cosa”. Il termine greco rhèma che compare nell’espressione originale può significare “parola”, “detto”, “dichiarazione”, ma può anche riferirsi a una “cosa” o una “cosa di cui si è parlato”, che si tratti di un fatto, di un’azione descritta o del risultato di ciò che è stato dichiarato. Anche se il testo greco potrebbe essere reso in modi diversi, il senso generale rimane lo stesso, ovvero che niente è impossibile quando si tratta di Dio o di una delle sue promesse. La frase di Lu 1:37 è simile alla resa di Gen 18:14 nella Settanta, dove Geova assicura ad Abraamo che sua moglie Sara, anche se anziana, darà alla luce Isacco.
Ecco la schiava di Geova! Con queste parole Maria fa eco a espressioni di altri servitori di Geova contenute nelle Scritture Ebraiche. Ad esempio, nella preghiera riportata in 1Sa 1:11 Anna disse: “O Geova degli eserciti, se presterai attenzione al dolore della tua schiava...” In 1Sa 1:11 la Settanta usa lo stesso termine greco reso “schiava” in Luca. (Vedi App. C3 introduzione; Lu 1:38.)
si recò [...] nella regione montuosa Da Nazaret, dove abitava Maria, questo viaggio attraverso le colline della Giudea avrà richiesto tre o quattro giorni, a seconda dell’ubicazione della città di Zaccaria ed Elisabetta. La distanza da coprire sarà stata di 100 km o più.
il frutto del tuo grembo O “il bambino che porti in grembo”. Il termine greco reso “frutto” (karpòs) qui ha un significato metaforico; usato in combinazione con il termine reso “grembo”, si riferisce a un nascituro. L’intera espressione rispecchia un modo di dire ebraico che ha il senso di “progenie”, intesa come “frutto”, o prodotto, della riproduzione umana (Gen 30:2, nt.; De 7:13, nt.; 28:4, nt.; Sl 127:3; 132:11, nt.; Isa 13:18; La 2:20, nt.).
da parte di Geova Le cose che l’angelo disse a Maria avevano origine da Geova Dio. L’espressione greca qui presente (parà Kyrìou) si trova in copie disponibili della Settanta nella resa di espressioni ebraiche che solitamente contengono il nome divino (Gen 24:50; Gdc 14:4; 1Sa 1:20; Isa 21:10; Ger 11:1; 18:1; 21:1; vedi App. C3 introduzione; Lu 1:45).
E Maria disse Le parole di lode di Maria riportate nei vv. 46-55 contengono oltre 20 riferimenti più o meno espliciti alle Scritture Ebraiche. Molte delle espressioni che usa richiamano la preghiera di Anna, la madre di Samuele, anche lei benedetta da Geova con la nascita di un bambino (1Sa 2:1-10). Altri esempi di espressioni a cui fa riferimento si trovano in Sl 35:9; Aba 3:18; Isa 61:10 (v. 47); Gen 30:13; Mal 3:12 (v. 48); De 10:21; Sl 111:9 (v. 49); Gb 12:19 (v. 52); Sl 107:9 (v. 53); Isa 41:8, 9; Sl 98:3 (v. 54); Mic 7:20; Isa 41:8; 2Sa 22:51 (v. 55). Dalle parole di Maria si coglie la sua spiritualità, la sua conoscenza delle Scritture e la sua gratitudine, ma anche la profondità della sua fede quando afferma che Geova umilia i superbi e i potenti mentre aiuta i modesti e i poveri che si sforzano di servirlo.
La mia anima O “tutto il mio essere”. Con il termine greco psychè, tradizionalmente reso “anima”, qui ci si riferisce alla persona nella sua totalità. In questo contesto, l’espressione “la mia anima” può anche essere resa “io”. (Vedi Glossario, “anima”.)
La mia anima glorifica Geova O “la mia anima magnifica (proclama la grandezza di) Geova”. Le parole di Maria potrebbero riecheggiare passi delle Scritture Ebraiche come Sl 34:3 e 69:30, in cui il nome divino è usato nello stesso versetto o nell’immediato contesto (Sl 69:31). In questi salmi la Settanta riporta lo stesso verbo utilizzato qui da Luca (megalỳno). (Vedi l’approfondimento E Maria disse in questo versetto e gli approfondimenti a Lu 1:6, 25, 38 e App. C3 introduzione; Lu 1:46.)
Geova le aveva mostrato grande misericordia Espressioni simili si trovano in alcuni passi delle Scritture Ebraiche, tra cui Gen 19:18-20, dove Lot si rivolge a Geova dicendo: “Geova, [...] tu mi stai mostrando grande benignità”. (Vedi App. C3 introduzione; Lu 1:58.)
mano Questo termine è di frequente usato in senso metaforico per indicare “potenza”. Dato che la mano concretizza la potenza del braccio, “mano” può anche trasmettere l’idea di “potenza all’opera”.
mano di Geova Nelle Scritture Ebraiche ricorre spesso un’espressione equivalente, che è una combinazione del termine ebraico per “mano” e del Tetragramma (Eso 9:3; Nu 11:23; Gdc 2:15; Ru 1:13; 1Sa 5:6, 9; 7:13; 12:15; 1Re 18:46; Esd 7:6; Gb 12:9; Isa 19:16; 40:2; Ez 1:3). L’espressione greca qui resa “mano di Geova” si trova anche in At 11:21; 13:11. (Vedi approfondimenti a Lu 1:6, 9; At 11:21 e App. C3 introduzione; Lu 1:66.)
Sia lodato Geova O “benedetto sia Geova”. Questa espressione di lode è comune nelle Scritture Ebraiche, dove spesso è usata con il nome divino (1Sa 25:32; 1Re 1:48; 8:15; Sl 41:13; 72:18; 106:48; vedi App. C3 introduzione; Lu 1:68).
corno di salvezza O “potente salvatore”. Nella Bibbia le corna degli animali rappresentano forza, conquista e vittoria (1Sa 2:1; Sl 75:4, 5, 10; 148:14; ntt.). Inoltre dinastie regnanti e sovrani, sia giusti che malvagi, sono simboleggiati da corna, e le loro conquiste vengono paragonate all’azione di spingere con le corna (De 33:17; Da 7:24; 8:2-10, 20-24). In questo contesto l’espressione “corno di salvezza” si riferisce al Messia in qualità di potente salvatore. (Vedi Glossario, “corno”.)
rendergli sacro servizio O “adorarlo”. Il verbo greco originale (latrèuo) fondamentalmente significa “servire”. Per come viene usato nelle Scritture, si riferisce al servire Dio o al servizio legato all’adorazione a lui resa (Mt 4:10; Lu 2:37; 4:8; At 7:7; Ro 1:9; Flp 3:3; 2Tm 1:3; Eb 9:14; 12:28; Ri 7:15; 22:3); può anche riferirsi al servizio svolto presso il santuario o il tempio (Eb 8:5; 9:9, nt.; 10:2, nt.; 13:10). Per questo motivo, in alcuni contesti l’espressione può essere tradotta “adorare”. Talvolta questo verbo viene usato anche a proposito della falsa adorazione, cioè del servizio, o culto, reso a cose create (At 7:42; Ro 1:25).
Geova Le parole profetiche di Zaccaria nella seconda parte del versetto richiamano quanto detto in Isa 40:3 e Mal 3:1, dove nell’originale ebraico compare il nome divino trascritto con quattro consonanti ebraiche (traslitterate YHWH). (Vedi approfondimenti a Lu 1:6, 16, 17; 3:4 e App. C3 introduzione; Lu 1:76.)
andrai davanti a Geova Giovanni Battista sarebbe andato “davanti a Geova” in qualità di precursore di Gesù, il quale sarebbe stato il rappresentante di suo Padre e sarebbe venuto nel Suo nome (Gv 5:43; 8:29; vedi l’approfondimento Geova in questo versetto).
giorno in cui si mostrò apertamente a Israele Ovvero quando Giovanni Battista iniziò il suo ministero pubblico, durante la primavera del 29. (Vedi approfondimenti a Mr 1:9; Lu 3:1, 23.)
Galleria multimediale
Dove possibile, gli avvenimenti sono stati elencati in ordine cronologico
Tutti i Vangeli sono corredati dalla stessa cartina, ma gli avvenimenti riportati sono diversi
1. L’angelo Gabriele appare a Zaccaria nel tempio e predice la nascita di Giovanni Battista (Lu 1:8, 11-13).
2. Dopo la nascita di Gesù gli angeli appaiono ai pastori nei campi vicino a Betlemme (Lu 2:8-11).
3. Gesù dodicenne parla con i maestri nel tempio (Lu 2:41-43, 46, 47).
4. Il Diavolo pone Gesù “sul parapetto del tempio” e lo tenta (Mt 4:5-7; Lu 4:9, 12, 13).
5. Nella sinagoga a Nazaret, Gesù legge dal rotolo di Isaia (Lu 4:16-19).
6. Gesù viene rifiutato nella propria terra (Lu 4:28-30).
7. Gesù si reca a Nain, forse da Capernaum (Lu 7:1, 11).
8. Gesù risuscita il figlio unico di una vedova a Nain (Lu 7:12-15).
9. Gesù compie il suo secondo giro di predicazione in Galilea (Lu 8:1-3).
10. Gesù risuscita la figlia di Iairo, probabilmente a Capernaum (Mt 9:23-25; Mr 5:38, 41, 42; Lu 8:49, 50, 54, 55).
11. Mentre attraversa la Samaria verso Gerusalemme, Gesù dice: “Il Figlio dell’uomo non ha dove posare la testa” (Lu 9:57, 58).
12. Gesù manda i 70 a predicare, forse in Giudea (Lu 10:1, 2).
13. Il buon samaritano della parabola narrata da Gesù percorre questa strada che scende verso Gerico (Lu 10:30, 33, 34, 36, 37).
14. Gesù insegna nelle città e nei villaggi della Perea e prosegue verso Gerusalemme (Lu 13:22).
15. Passando lungo il confine tra la Samaria e la Galilea, Gesù guarisce 10 lebbrosi (Lu 17:11-14).
16. Gesù visita Zaccheo, l’esattore di tasse, a Gerico (Lu 19:2-5).
17. Gesù prega nel giardino di Getsemani (Mt 26:36, 39; Mr 14:32, 35, 36; Lu 22:40-43).
18. Pietro rinnega Gesù tre volte nel cortile della casa di Caiafa (Mt 26:69-75; Mr 14:66-72; Lu 22:55-62; Gv 18:25-27).
19. Nel luogo chiamato Teschio (Golgota), Gesù dice al criminale: “Tu sarai con me nel Paradiso” (Lu 23:33, 42, 43).
20. Gesù appare ai due discepoli sulla strada per Emmaus (Lu 24:13, 15, 16, 30-32).
21. Gesù conduce i discepoli fino a Betania; ascende al cielo dal vicino Monte degli Ulivi (Lu 24:50, 51).
Questa ricostruzione mostra quello che forse Zaccaria avrà visto avvicinandosi all’ingresso del tempio. Secondo alcune fonti il tempio costruito da Erode aveva l’altezza di 15 piani. A quanto pare la facciata su cui si apriva l’ingresso era ricoperta d’oro. L’ingresso era rivolto a est, quindi al sorgere del sole la facciata rifletteva una luce sfolgorante.
(1) Cortile delle donne
(2) Altare degli olocausti
(3) Ingresso del Santo
(4) Mare di metallo fuso
Nell’immagine si vede parte di un frammento pergamenaceo della versione greca di Simmaco, contenente il passo di Sl 69:30, 31 (68:31, 32, LXX). Il frammento risale al III o IV secolo, mentre la versione originale di Simmaco è del II secolo. Questo frammento, conosciuto come P. Vindobonensis Graecus 39777, si trova ora nella Biblioteca Nazionale Austriaca, a Vienna. La parte che si vede qui contiene due occorrenze del nome divino scritto in caratteri paleoebraici ( o ) all’interno del testo greco. Le parole di Maria riportate in Lu 1:46 sembrano richiamare il concetto espresso in Sl 69:30, 31, dove il nome divino compare anche nel testo originale ebraico. Il fatto che le parole di lode usate da Maria contengano un forte richiamo alle Scritture Ebraiche e il fatto che questa versione greca utilizzi il Tetragramma supportano la scelta di usare il nome divino nel testo principale di Lu 1:46. (Vedi approfondimento a Lu 1:46 e App. C.)
Zaccaria potrebbe aver usato una tavoletta di legno simile a quella dell’immagine quando scrisse in ebraico “il suo nome è Giovanni”. Tavolette di questo genere si usavano da secoli in tutto l’antico Medio Oriente. La parte rientrante della tavoletta veniva riempita con un sottile strato di cera. Per scrivere sulla superficie morbida si usava uno stilo che poteva essere di ferro, di bronzo o di avorio. Solitamente lo stilo aveva un’estremità appuntita e l’altra appiattita che veniva usata per cancellare e per stendere la cera. Qualche volta due o più tavolette venivano legate insieme con delle striscioline di pelle. Uomini d’affari, studiosi, studenti ed esattori di tasse usavano questo tipo di tavolette per annotare informazioni che non era necessario conservare a lungo. Le tavolette che si vedono nella foto risalgono al II o III secolo e sono state rinvenute in Egitto.